Catania - Milano, ottobre 2009
(Commissione EdU)
Quelle parole che sono vita e
che spingono subito a vivere
Tra parola e educazione vi sono molteplici relazioni, basti pensare alla definizione di essere umano come parola - ad esempio in Freire, Don Milani, Buber, Ricoeur -una caratteristica umana che connota e dà dignità all’essere vivente in quanto tale[1], ma che ne rivela altresì la barbarie quando il suo uso viene piegato alla violenza, alla falsità o alla superficialità[2] del discorso. Una parola, quindi, come atto consostanziale, voce, espressione della persona. Una parola, oggi, spesso sovrabbondante e rumorosa, che non riesce a scavare in profondità e creare l’inter-spazio necessario all’ascolto al dialogo, al pensiero riflessivo e alla ricerca della verità.
Come riscoprire il valore della parola in un tempo stanco di parole? Come restituire ad essa il suo valore e trasparenza, il proprio vero “dire”, il senso? Forse in questa domanda sta una delle più grandi sfide dell’educazione di ogni tempo.
Anche la scienza pedagogica[3] si snoda per mezzo di un suo tipico linguaggio, con le sue teorie di riferimento, che gli educatori dovrebbero conoscere di più, soprattutto per le implicazioni che esse hanno nella prassi educativa e, viceversa, per gli influssi che a sua volta la pratica esercita sulla costruzione di una teoria.
In questa sede, però, vorremmo concentrare la nostra attenzione sulla tipica natura relazionale dell’azione educativa. In pratica, parola ed educazione rappresentano poli inscindibili dell’educazione, che è costitutivamente fondata sulla relazione educatore-educando[4]. Da una parte la parola è strumento dell’azione dell’educatore, dall'altra però è mezzo attraverso cui l’educando si esprime, costruisce la propria identità, partecipa, progetta, crea. E quando la comunicazione si corrompe o si interrompe, non solo “io perdo profondamente me stesso…, ma l’alter diventa alienus, ed io a mia volta divento estraneo a me stesso, alienato”[5].
PAROLE DI SENSO PER UNA SOCIETÀ COMPLESSA
Sviluppare un autentico dialogo educativo oggi è impresa ardua in un mondo-villaggio divenuto globale[6], bombardato da un’infinità di parole, ma sempre meno capace di comprendere e di comunicare. Appare, quindi, quanto mai urgente una seria e condivisa riflessione che rimetta al suo giusto posto il valore delle parole e dei significati da esse veicolati, che sappia riscoprire la parola come strumento per riportare all’unità una realtà spesso frammentata.
Oggi più che mai l’uomo ha bisogno di una parola che “non impacci”, ma che liberi; di uno spazio, fisico e mentale nel quale la conoscenza e la capacità di mettere in relazione,e di mettersi in relazione,possano aprirsi alla “vera comprensione” di altri orizzonti e significati, ad una “luce” nuova7 che illumini e faccia capire il senso.
E’ soprattutto attraverso la parola e la testimonianza che la persona può trovare se stessa, la propria identità e il coraggio di aprirsi al senso della vita. Come sottolinea Platone, “soltanto nella parola dell’educatore, in ciò che si scrive veramente nell’anima, intorno al giusto, al bello e al bene, c’è chiarezza, pienezza e serietà…”8. Parola che sa tracciare segni fecondi perché veramente “in-segna” una conoscenza “non affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma …luce che si accende da una scintilla che si sprigiona... Essa nasce nell’anima e da essa si alimenta”9. E’ la stessa verità che si fa presente nel processo comunicativo come predisposizione dell’animo che coinvolge tutta l’esistenza dei dialoganti.
La parola, quindi, è educativa non solo nella misura in cui è “costruzione comune tra maestro e allievo”, ma orientamento alla vita come amore e al sapere come amore per la verità10.
PAROLE CHE DICONO COMUNITÁ
Parlare, in questa prospettiva, richiede una stretta relazione tra teoria e pratica di vita, e riguarda tutti i soggetti coinvolti, prima di tutto l’educatore. Come sottolinea Paulo Freire, “il maestro che insegna davvero” è convinto che “pensare in modo corretto è agire in modo corretto”11. Il suo vissuto, visibile nei suoi gesti e nel suo dire, il mettersi in gioco – dai comportamenti quotidiani alla didattica delle discipline – come “vivente garanzia” di ciò che trasmette, è il segreto di un insegnante efficace perché autorevole. L’educando, da parte sua, impara proprio a connettere il dire e il fare, il nesso imprescindibile parola-vita, a sentirsi egli stesso attore responsabile di un agire coerente.
La relazione, dunque - tra parola e vita, tra educatore ed educando, tra educatori - costituisce l’orizzonte della vita stessa e rinsalda ulteriormente i legami tra le persone. Da qui il concetto di “parola” come incontro, attraverso cui l’uomo è invitato ad uscire dal mutismo e dalla chiusura in se stesso12. Se da una parte con la parola l’uomo riceve originariamente il dono della propria umanità, dall’altra è tramite la parola che egli coltiva, ritrova e amplia la propria socialità e cultura, e costruisce una comunità. Una comunità, cioè, si sviluppa nella misura in cui le dinamiche di compartecipazione che costituiscono la vita sociale sanno creare e ricreare un popolo e una cultura aperti al dialogo13.
PAROLE CHE GENERANO RELAZIONI
La comunicazione della parola rimanda al tema dell’ascolto14.
Dice Carl Rogers: “Il primo semplice sentimento che vorrei parteciparvi è la gioia che provo quando posso realmente ascoltare qualcuno; (…) e quando dico che gioisco nell’ascoltare qualcuno, intendo naturalmente un ascolto profondo. Voglio dire che presto attenzione alle parole, ai pensieri, ai toni sentimentali, al significato personale e anche al significato che è sotteso all’intenzione cosciente di colui che parla. Inoltre qualche volta sento, in un messaggio che superficialmente non è molto importante, un profondo lamento umano che giace sconosciuto e sepolto molto al di sotto della superficie della persona.”15. Qui sta tutta la preziosità del “silenzio”, di un sapere che sgorga da un incontro.
Potremmo chiederci, allora, qual è l’ atteggiamento autentico dell’educatore?
Innanzitutto una parola accogliente, pronta a “farsi uno” con l’altro da sé; umile, in quanto capace di svincolarsi dai propri pre-giudizi e pre-cognizioni. Non una semplice comunicazione, ma sguardo attento, come afferma Simone Weil, “in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per accogliere in sé l’essere che essa vede, così com’è, nel suo aspetto vero”16.
Questa pedagogia dell’ascolto richiede pertanto di saper anche tollerare il vuoto, la non-risposta immediata, la non-perfetta adesione dell’allievo, del figlio alle nostre grammatiche e procedure17. Non si tratta tanto di optare per una comoda pedagogia sfuggente alle proposte di valore, ma di un accostarsi rispettoso e sapienziale, di un ascolto attivo.
Questo sul piano pedagogico ha riflessi importanti sul processo formativo, soprattutto perché la possibilità di narrare e di essere ascoltati costituisce una dinamica di rispecchiamento fondamentale per lo sviluppo della consapevolezza e della coscienza. “Provo un senso di soddisfazione – racconta ancora Rogers - quando posso arrischiarmi a comunicare la mia reale essenza ad un altro. La cosa è tutt’altro che facile, anche perché ciò che sto sperimentando è una costante fase di trasformazione, (…) ma quando posso comunicare ciò che in me è autentico nel momento in cui accade, allora mi sento genuino, spontaneo vivo” 18.
Dobbiamo ammetter che ci sono tanti narratori di sé, ma quando la narrazione viene sperimentata nella dinamica di dono vi è un effetto che va oltre il solo arricchimento personale perché, come sottolinea Chiara Lubich, se è vero che chi parla ne risulta arricchito, anche chi ascolta ne trae beneficio19, dando vita così a una certa reciprocità: “in tal modo il messaggio non viene solo intellettualmente percepito, ma anche partecipato e condiviso”20.
In questo modo, il racconto delle esperienze permette una continua trasmissione di schemi e di valori dall’uno all’altro, in un coinvolgente processo di apprendimento reciproco. Una narrazione di natura tipicamente relazionale che tuttavia non esclude, anzi richiede il dialogo intrapersonale, che ciascuno dovrebbe imparare ad instaurare con se stesso, tra sé e sé, come irrinunciabile esercizio della capacità autoriflessiva.
Una parola, quindi, che sappia anche educare il pensiero, una parola-mediazione, che faccia spazio in mezzo ai tanti dati, alla complessità dei rapporti umani. Servono degli inter-spazi in cui sia ancora possibile pensare, parlare, avere una voce. Oggi noi spesso siamo oppressi e imprigionati da un pensiero che tende a mettere insieme tante immagini e tante idee giuste, ma ci manca una mente unificante, che evolva non solo come pensiero critico ma anche costruttivo.
Ė soprattutto attraverso la parola-reciproca che avviene quell’”insight”, che si accende quella luce nuova attraverso cui insegnante e studenti scoprono connessioni, possibilità, intuizioni e orizzonti prima non percepiti: un processo di ristrutturazione continuo, non solo a livello cognitivo e affettivo, ma anche spirituale21, come confermano le più recenti indagini di neurologia dell’apprendimento, che utilizzano la metafora della luce per descrivere la fase di scoperta e la motivazione ad essa connessa22.
Già S. Tommaso D’Aquino affermava che il vero maestro non è colui che cerca di rassicurarti con argomenti dimostrativi, ma è quello che ti accende il desiderio della ricerca e poi ti lascia esplorare la risposta. Per Freire, inoltre, è decisivo che tutti possano partecipare, attraverso l’esercizio collettivo della parola, all’elaborazione della cultura. In questo senso, occorre educar a prendere la parola, consapevoli del rischio che essa comporta, ma attenti anche “a non confondere la vera con la falsa prudenza, sì da arenarsi in un deprecabile silenzio”23.
Senza alcuna pretesa di esaustività, si vorrebbe sinteticamente richiamare l’attenzione su alcuni aspetti di un possibile itinerario educativo, in particolare:
- esser consapevoli che la testimonianza umana e professionale è la prima “parola”, spesse volte non scritta e nemmeno detta, attraverso cui l’educatore trasmette conoscenze e valori24;
- esser competenti nell’uso di un autentico linguaggio educativo, che non può prescindere da una dimensione relazionale qualificata, cioè ad un certo modo di rivolgersi all’educando; ciò richiede una costante attenzione alla qualità dell’insegnamento, alla gradualità didattica, ma soprattutto una costante attenzione ai diversi segnali che l’educando anche tacitamente ci comunica;
-porre una particolare cura alla comunicazione positiva25 attraverso parole appropriate per motivare, incoraggiare e sostenere l’apprendimento;
- far crescere l’organizzazione della classe come comunità di apprendimento, facilitante il processo di scoperta sia personale sia di gruppo; secondo questa prospettiva, l’attenzione è posta non solo sul dialogo guidato dall’insegnante, ma soprattutto sulla “condivisione della conoscenza e dell’esperienza”26, data dal contributo dei diversi interlocutori attraverso un uso intelligente, competente e costruttivo della parola, come pratica di verità e, nello stesso tempo, come via d’unità;
- sostenere gli educandi nella testimonianza della propria identità personale e comunitaria, ma nello stesso tempo superando ogni forma di etnocentrismo, sviluppando il dialogo, la comprensione dilingue e identità altre in un’ottica di cittadinanza e di fraternità planetaria;
- favorire la riflessione sul senso del pensare e dell’agire, sapendo superare ogni forma di improvvisazione o di emotivismo; occorre, cioè, promuovere la capacità di documentare, di argomentare, di interpretare, non come mero esercizio di potere dell’uomo sull’uomo, ma come strumento di responsabilità reciproca27; in questa direzione, allora, il pensare e il parlare “per amore” può diventare un autentico atto di servizio28 alla persona e al bene comune.
In pratica, quest’ars longa dell’educazione della parola (nel senso che dura tutta la vita) consiste nel rendere i soggetti consapevoli della potenzialità ma anche del limite della propria rappresentazione-comprensione della realtà e degli altri.
L’educazione quindi è essenzialmente parola. Parola-generatrice di luce, sguardo affettivo, forza dell’intelligenza, slancio spirituale, in cui l’altro non solo è riconosciuto e rispettato, ma aiutato nell’attuazione del suo dover essere. Questo essenzialmente è il volto maieutico, educativo, umanizzante e creativo della parola.
Possiamo concludere con una provocazione?
La storia è piena di ottimi parlatori. Molti i seduttori, anche ai nostri giorni, maestri affabulatori di parole vuote e ingannatrici. Noi - ecco la discriminante - crediamo che quando alla parola si assegna il ruolo di mera espressione dell’ego, del narcisismo o del tornaconto personale, può sì inebriare e dare una certa auto gratificazione, ma è anche causa di molte banalizzazioni e divisioni.
Ė di fronte a questo vuoto – siamo convinti - che l’educazione deve saper andare controcorrente, facendo sentire alta la sua voce. Una parola umana, vera e solidale, che sa farsi dono, capace di dire ed essere amore29 anche di fronte al fallimento, all’insuccesso, allo scacco della non-risposta. Ė qui che la parola raggiunge, a volte, la sua massima espressione educativa e la sua efficacia. Non più mera parola, ma incessante voce dell’amore.
[1] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973, p.27.
[2] E. Ducci, L’uomo umano, La Scuola, Brescia 1979. Come acutamente annota I. Calvino “A volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola…, che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, che tnde a livellare...” (cfr. Lezioni americane, Garzanti, Milano 1988, p. 58).
[3] Cfr. D. Orlando Cian, Introduzione a una epistemologia dell’educazione, Cleup, Padova 1990.
[4] R. Guardini, Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, La Scuola, Brescia 1987, pp. 46-47, Cfr. anche V. E. Frankl ritiene che il dire “tu” preceda il dire “io” ( Homo patiens. Soffrire con dignità,Queriniana, Brescia 1998, p.116).
[5] E.Mounier, il personalismo, AVE, Roma 1964, p.49.
[6] Cfr. McLuhan Marshall, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 2008.
7 L’ L'insight intellettuale, cioè la comprensione profonda, è il “talento del pensatore” che permette non tanto una rapida, quanto una migliore applicazione della capacità di risolvere i problemi. Comprende tre differenti processi psicologici correlati tra loro: la codifica selettiva permette di mettere in rilievo informazioni utili; la combinazione selettiva permette di riunire in un unico quadro coerente, frammenti di informazione in precedenza separati; il confronto selettivo stabilisce delle relazioni tra informazioni di nuova acquisizione con quelle prima possedute. (cfr. G.F.Gullotta, T.Boi, L'intelligenza sociale, Giuffrè, Milano 1997).
9 Platone, Settima lettera, 341 C 5-D 2.
10 A. Testa, La scuola del dialogo, Cappelli, Bologna 1958, p. 7.
11 P.Freire, Pedagogia dell’autonomia” EGA, Torino, 2004, pag. 29-30.
12 R. Guardini, L’incontro, in “Persona e libertà”, La Scuola, Brescia 1990; per un’analisi del rapporto parola-incontro, v. G. Mura, Pensare la Parola. Per una filosofia dell’incontro, Editrice Università Urbaniana, Roma 2001, p.16.
13 Come autorevolmente afferma Jerome Seymour Bruner, quindi, se l’educazione guardasse solo alle scuole e non alla società nel suo complesso sarebbe condannata “ad una inevitabile superficialità”(Il significato dell’educazione, Armano Editore, Roma, 1986, pag. 149.
14 La parola per essere donata ha bisogno di trovare un ascolto attento, attivo, profondo L’ascolto empatico implica una donazione di sé nel momento in cui ci si pre-dispone verso l’altro, lasciando che la sua esperienza parli dentro di noi Questa è la vera palestra attraverso cui egli può manifestarsi ed esprimersi. Cfr. E.Stein, Il problema dell’empatia, Studium, Roma 1987.
15 C. Rogers, Un modo di essere, 1980, Firenze, Martinelli, 1993, p13.
16 S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1998, pp.83-84).
17 Cfr. L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, 2005.
18 C. Rogers, Op. cit., p.20. C. Lubich, Scr. Sp/3, Città Nuova, Roma 1996, pp124-125.
19 C. Lubich, Scr. Sp/3, Città Nuova, Roma 1996, pp124-125.
20 C. Lubich, Il Movimento dei Focolari e i mezzi di comunicazione, “Nuova Umanità”, 133 (2000), p.18-20.
22 “Uno dei più potenti incentivi che motiva le persone ad apprendere è l’illuminazione che viene dall’afferrare nuovi concetti” (...) “Uno scopo essenziale dell’istruzione nell’infanzia dovrebbe essere quello di assicurare che i bambini facciano questa esperienza di ‘enlightenment’ il prima possibile e diventino consapevoli di quanto apprendere possa essere piacevole”.CERI, Understanding the brain: the birth of a learning science, Paris, OECD 2007, p. 76 (traduzione dall’inglese a cura della Commissione EdU).
23C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p.84.
24Soltanto una pedagogia della coerenza sa legare positivamente parola e vita, comportamenti verbali e comportamenti esistenziali.
25Come ci ricorda E. Mounier, “il rapporto interpersonale positivo è una provocazione reciproca” (Il personalismo, AVE, Roma 1964, p.53.)
26C. Pontecorvo, La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1993.
27Si tratta di affiancare i cosiddetti beni relazionali , definiti in modi diversi dalle varie scuole: competenze trasversali (cfr. ISFOL, Competenze trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, 1994), capitale sociale (cfr. Donati P., Capitale sociale, reti associative e beni relazionali, in Impresa Sociale, vol. 76, aprile-giugno 2007), fiducia (cfr. Pelligra V., I paradossi della fiducia, Il Mulino, Bologna, 2007), riconoscimento reciproco, condivisione identitaria (cfr. Rullani E., La fabbrica dell’immateriale, Carocci, Roma, 1994).
28 Sul concetto di Apprendimento come Servizio, cfr. N.Tapìa, La pedagogia dell’Apprendimento-Servizio, Città Nuova, Roma 2007.
29 Cfr. la Filosofia dell’Incontro di F. Ebner (Parola e amore,e altri scritti, Rusconi,Milano 1998).