La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina annuncia che si cercherà di tornare in classe senza doppi turni. Le classi, dice, non verranno divise, e ipotizza l'installazione di barriere divisorie tra gli studenti. Le difficoltà per ripartire a settembre sono molte, la scuola va ripensata insieme.

La scuola si avvia finalmente al termine. Finalmente perché, inutile nasconderlo, gli ultimi mesi sono stati particolarmente difficili e ci hanno messi duramente alla prova: il coronavirus ci ha costretti a sperimentare la didattica a distanza (DaD) per la quale non eravamo preparati né dal punto di vista dell’insegnamento né da quello tecnologico (sulla scuola vedi inchiesta su Città Nuova di giugno). Gli studenti si sono sentiti come proiettati in una sorta di universo parallelo che oltre ad averli isolati, ha ridotto concentrazione e voglia di studiare.

L’anno scolastico non è stato perso, ma nell’urgenza delle misure sanitarie ed economiche, la scuola è stata a lungo messa da parte, anche per l’obiettiva difficoltà di assicurare lezioni in sicurezza nelle aule pollaio dei nostri istituti, che contano personale ridotto, insegnanti anziani e operatori per la pulizia ridotti all’osso per numero e ore di lavoro.

L’imperativo, adesso, è quello di predisporre le necessarie misure di sicurezza per poter tornare, in qualche modo, tra i banchi a settembre con lezioni in presenza, sempre che la situazione epidemiologica lo consenta.

Di questo hanno discusso ieri pomeriggio a Palazzo Chigi la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, il premier Giuseppe Conte, la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli e i rappresentanti degli enti locali, dei sindacati, delle famiglie, delle scuole paritarie e degli studenti. Docenti e studenti regolarmente «in presenza – ha detto Azzolina – è un obiettivo difficile, complicato, ma non impossibile» ed ha ipotizzato lezioni anche di sabato, una flessibilità oraria (si valuta anche la riduzione dell’ora di lezione a 40 minuti), valutando la possibilità di pannelli in plexiglass per separare i banchi.

 Lucia Azzolina ministro dell'istruzione .Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Lucia Azzolina ministro dell’istruzione .Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

La ministra ha annunciato fondi per 4 miliardi e ha detto no a doppi turni e sdoppiamenti delle classi, ma se pensiamo alle aule affollate e piccole presenti in molte scuole italiane, diventa difficile anche solo immaginare una separazione dei banchi che – a questo punto – dovrebbero ospitare un solo bambino e non due.

Quelle formulate tuttavia sono solo delle ipotesi. Ogni scuola dovrà valutare gli spazi a disposizione e capire se e come potrà avviare le lezioni a settembre. Si potranno individuare spazi alternativi, di concerto con gli enti locali, ed eventualmente installare tensostrutture dove allestire le aule.

I margini di manovra, comunque, sono limitati. In base ai dati del ministero dell’Istruzione le classi della scuola statale sono 369.769, mentre gli studenti quest’anno sono stati 7.599.259. Secondo le indicazioni del Comitato tecnico scientifico del Miur in ogni classe bisognerà mantenere il distanziamento fisico di almeno 1 metro. Una distanza minima, visto che in altri Paesi si prevede per ogni bambino uno spazio di 4 metri quadrati (Belgio e Francia) o un distanziamento di 1,5m (Belgio e Olanda) o addirittura 2 m (Germania, Regno Unito, Spagna…), nonché classi con al massimo 10-15 alunni. Considerando che regolarmente si superano i 20 studenti, arrivando a oltrepassare, in alcuni istituti, i 30 ragazzi, si comprendono facilmente i salti mortali che dovranno fare i dirigenti.

Per le mense si pensa alle lunch box, scatole con i pasti, si consiglia la continua areazione dei locali con finestre sempre aperte nei bagni (e in autunno/inverno come si farà?) e l’utilizzo dei locali solo per attività didattiche, dunque niente attività e laboratori extrascolastici.

Non verrà controllata la temperatura, toccherà ai genitori tenere a casa i figli con una temperatura non solo superiore ai 37,5°, ma anche con tosse e raffreddore. C’è dunque da sperare che continui anche una forma di didattica a distanza, perché è facile prevedere che molti studenti passeranno a casa intere settimane.

C’è poi la questione dell’igiene. Per problemi economici, in molte scuole sono i genitori che attualmente forniscono saponi e rotoli di carta igienica. Come si farà a garantire la fornitura (e l’uso) di igienizzanti per le mani? È giusto obbligare bambini e ragazzi ad indossare per ore le mascherine e altri dispositivi di sicurezza (come visiere e guanti)?

Insomma, senza voler analizzare altri problemi organizzativi, lavorativi e strutturali, è evidente che la questione è difficile da risolvere e mette a nudo i problemi storici delle scuole italiane. Per trovare soluzioni valide serve uno sforzo collettivo e procedure rapide ed efficaci, anche originali e frutto di alleanze strategiche e generative.

Intanto, da domani 6 giugno, le lezioni termineranno in Marche, Molise, Sardegna, Sicilia, Veneto ed Emilia Romagna, poi via via in tutte le altre regioni, fino al 16 giugno, quando finiranno anche nelle province autonome di Trento e Bolzano. Il 17 giugno alle 8.30 inizieranno gli esami di maturità.

Chi aveva sperato in un ultimo giorno in presenza, per consentire soprattutto agli studenti che finiscono un ciclo (quinta elementare, terza media) di salutare compagni e docenti, ha dovuto rassegnarsi, anche se molti insegnanti hanno deciso di scioperare, mentre diverse organizzazioni di genitori annunciano manifestazioni e attività con i propri figli al di fuori degli istituti scolastici.

Sulla didattica a distanza dà un giudizio anche il presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale dirigenti pubblici e delle alte professionalità della scuola, Antonello Giannelli. «Per giudicare globalmente la DaD occorre tenere in considerazione due piani di valutazione: quello organizzativo e tecnico – afferma – e quello legato al rapporto di insegnamento/apprendimento. Il primo piano fa i conti con una realtà che prescinde dalla volontà delle scuole. Infatti, sebbene esse abbiano messo a disposizione degli alunni meno abbienti i dispositivi digitali individuali necessari per partecipare alle attività a distanza, è anche vero che molti alunni (secondo le stime del Ministero dell’Istruzione il 6%, ma si pensa siano di più e, in ogni caso, fossero solo l’1%, sarebbe comunque grave) non sono raggiunti dalla DAD, sia per ragioni economiche che per problemi di connettività».

Alcuni istituti, poi, non sono riusciti a soddisfare tutte le richieste di tablet e pc, e tutto questo, continua Giannelli, «mi porta ad affermare che l’accesso alla rete deve essere considerato un diritto fondamentale della persona da garantire con strutture e infrastrutture tecnologiche adeguate. In questa fase diritto all’istruzione e diritto alla rete si incontrano e ogni ostacolo che limiti il primo deve essere rimosso dalle istituzioni».

Sul piano del rapporto insegnamento/apprendimento, aggiunge il presidente dell’Anp, «il mondo della scuola, comprendendo da subito la necessità di non perdere di vista la relazione educativa con gli studenti, si è messo alla prova, si è misurato con nuove modalità operative che da qui a settembre, nell’ipotesi che debba essere attivata ancora una volta, potranno essere la base di partenza per una DaD più strutturata e consapevole. Questi mesi sono stati una sorta di stress test per il sistema scuola e il giudizio non può che essere, nel complesso, positivo».

Gli studenti bocciano invece senza appello le nuove modalità di didattica, che tra un «Prof. non la sento, lei mi sente?» e un video da guardare al posto della spiegazione del docente, si sono visti privare della vicinanza dei compagni, della presenza degli insegnanti, spesso delle necessarie delucidazioni sulle lezioni e di una gran parte della didattica, con programmi che sono stati rimodulati e dunque ridotti e che dovranno necessariamente recuperati a settembre.

FONTE: CITTÀ NUOVA

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